«Medicina e morale» (2005/6)

Recensione a Giovanni Fornero, Bioetica cattolica e bioetica laica

di Palma Sgreccia

Il titolo del volume può sembrare uno slogan che contrappone posizioni "da barricate", invece è assunto dall'Autore come uno "schema euristico" per capire prospettive differenti, ma comunicanti.

La distinzione non oppone fede e ragione, pregiudizio e tolleranza, dogmatismo e apertura, ma orizzonti di senso complessi. In base alla "bioetica cattolica" l'essere umano è sempre persona, costituito da una natura donata e non scelta, inserito in una realtà finalisticamente organizzata seondo una legge naturale intelligibile. Con questa posizione realista e cognitivista si confronta la "bioetica laica" che, invece, nega l'equivalenza tra essere umano e persona e contesta la nozione di natura e legge naturale, poiché si oppone a qualsiasi ordine non costruito dall'autonomia umana.

L'Autore è consapevole che la dicotomia "bioetica cattolica - laica" è contestabile, ma l'assume allo scopo di precisarne i concetti e la loro articolazione. Allievo di N. Abbagnano, Giovanni Fornero si distingue per il suo stile lucido e rigoroso, capace di "ascoltare" e riportare onestamente le varie posizioni. Da "laico" dimostra un vivo interesse per la dottrina cattolica e per la bioetica ufficiale della Chiesa, che presenta in modo documentato e fedele. Da subito è evidente che il suo intento non è quello di radicalizzare i contrasti o di erigere steccati, ma è quello di favorire la reciproca comprensione al fine di porre le basi per un dialogo autentico.

Condivide con Pessina che il diffuso "bisogno" di bioetica "non è una moda" (p. 7), ma esprime la generale necessità di senso e l'imprescindibilità di un orizzonte filosofico di base. Sostiene che la bioetica rappresenta "una delle maggiori incarnazioni dello spirito filosofico, ossia un atteggiamento mentale che, invece di limitarsi a ciò che è tecnicamente o legalmente possibile, si interroga su ciò che è moralmente auspicabile, ovvero intorno a quel "essere" o "dover fare" che costituisce il tratto specifico dell'etica filosofica" (p. 10).

Secondo Fornero la distinzione "bioetica cattolica - bioetica laica" si giustificherebbe proprio a partire dai diversi orizzonti globali di senso, determinati da alcune opzioni di fondo: se la vita umana è concepita come creata da Dio è sempre sacra e intangibile, invece se viene negato il rapporto con il Creatore allora ci saranno delle situazioni in cui rimane violabile e soggetta alla volontà altrui. Precisa che l'indirizzo filosofico della "bioetica cattolica della sacralità della vita" (p. 24) è quello del personalismo ontologicamente fondato. Citando Sgreccia, definito il "maggior bioeticista cattolico" (p. 26), ricorda che la Chiesa ha sempre basato il suo insegnamento non solo sulla fede e sulla Scrittura, ma anche sulla ragione e sulla filosofia: "Sarebbe […] improprio e non utile per la fede stessa negare la legittimità e la necessità di una riflessione razionale e filosofica sulla vita umana e perciò anche sulla liceità degli interventi sull'uomo da parte del medico e del biologo: la vita umana è anzitutto un valore naturale, razionalmente conosciuto da tutti coloro che fanno uso di ragione" (p. 27). Compiutamente espone il "metodo triangolare" – proposto dal Manuale di bioetica di Sgreccia – che fa leva sul dialogo tra biologia, antropologia ed etica, spiegando i tre livelli di analisi: descrittivo, valutativo e applicativo.

Il presupposto della bioetica personalista della sacralità della vita è l'esistenza di un piano intelligibile delle cose, che si concretizza in un ordine naturale immutabile, manifestato sia nell'universo, sia negli organismi che ne fanno parte. Pur dichiarando la sostanziale immutabilità della legge naturale, la dottrina cattolica ammette che la consapevolezza umana e i tentativi di tradurla in atto possono essere soggetti a sviluppi nel tempo. La libertà umana non è arbitrio, non può travalicare i limiti, ma può adeguarsi consapevolmente ad essi e quindi conformarsi all'ordine oggettivo e oggettivamente conoscibile delle cose. In questa prospettiva metafisica la natura non è solo fisica e biologica, datum opaco e bruta fattività, ma ordine finalistico, ordo creationis, orientamento al Bene, che obbliga in quanto buono. Fornero definisce la posizione cattolica come "deontologismo rigoroso, incentrato sulla nozione di divieti autoevidenti e assoluti, cioè che si impongono a tutti e in tutte circostanze" (p. 42). Forse avrebbe dovuto precisare che nella prospettiva cattolica dell'etica teleologica del bene e della vita buona, i divieti non sono originari, perché primario è sempre il bene. Secondo il personalismo ontologicamente fondato, la legge morale naturale esprime il dinamismo, la finalità che pervade tutte le creature, la legge della loro attività, la via per raggiungere il fine, che è il bene.

Prima di descrivere il paradigma della "qualità della vita", l'Autore fa alcune precisazioni sul termine "laico". C'è una definizione "a maglie larghe", che indica soltanto il non riferirsi a considerazioni di fede, ma con questa caratterizzazione sarebbero "laici" anche quei filosofi e bioeticisti cattolici che nelle loro argomentazioni prescondono da "pregiudiziali di fede e da ipoteche dogmatiche" (p. 63).

Fornero distingue tra un significato "debole" e uno "forte" del termine laico. In senso debole indica un atteggiamento critico e antidogmatico, in senso forte si riferisce a chi ragiona indipendentemente dall'ipotesi di Dio (etsi Deus non daretur) e da ogni metafisica. La bioetica laica ha questo secondo significato, che alcuni potrebbero definire "laicismo". L'Autore sostiene che la bioetica laica è la bioetica che rinuncia ad un "uso strategico normativo" (p. 71) dell'idea di Dio, di un Ente Supremo, Creatore e Legislatore: "Come si può notare, ciò che distingue i bioeticisti laici dai bioeticisti cattolici (romani) è, in primo luogo, il rifiuto dell'idea teologico-metafisica di un ‘piano divino del mondo' con funzione normativa (p. 72).

La bioetica laica e antimetafisica ha l'onere di stabilire i criteri con cui definire la nozione di "qualità della vita". A questo punto l'Autore, che avrebbe potuto far saltare la dicotomia bioetica cattolica - bioetica laica, circoscrive il suo discorso alle descrizioni delle varie teorie edonistiche, delle preferenze e perfezioniste. Il primo paradigma considera la qualità della vita in funzione della presenza o meno di stati piacevoli o dolorosi. Il secondo paradigma sostiene che la qualitù della vita dalla soddisfazione delle preferenze e degli interessi degli individui. Il terza paradigma, perfezionista, avrebbe potuto offrire sviluppi interessanti del discorso, cioè fornire la possibilità di recuperare – in ambito "laico – il concetto di "natura", intesa come autorealizzazione, ma Fornero non esplicita questo. Dice che secondo il paradigma perfezionista la qualità della vita va misurata in rapporto ad alcune capacità funzionali essenziali, di cui – seguendo Nussbaum – fornisce una lista: "il non morire prematuramente, la buona salute, l'essere adeguatamente nutriti, il possedere un'abitazione adeguata […], il pensare, il ragionare, l'essere in grado di esprimere i propri talenti creativi […]. Contro l'utilitarismo delle preferenze, il modello perfezionista, consapevole che spesso le preferenza sono il risultato di un processo di adattamento alle circostanze, sostiene che l'importante non è sapere come si sentono le persone nei confronti di ciò che sta loro accadendo, se sono soddisfatte o insoddisfatte, ma anche che cosa sono di fatto capaci o meno di fare e di essere" (p. 73). Questo paradigma, sulla scia di Amartya Sen, pensa che il benessere complessivo della persona non sia riducibile alla soddisfazione soggettiva delle preferenze.

A questo punto credo che sia importante segnalare che Hilary Putnam, filosofo di matrice analitica, partendo dalle riflessioni del filosofo economista indiano Amartya Sen, giunge a superare la cosiddetta legge di Hume, cioè la dicotomia tra fatti e valori, e prospetta un dover essere fondato sulla natura delle cose e non più sulla preferenza soggettiva. La nozione di "qualità della vita", intesa come autorealizzazione, potrebbe essere sviluppata non solo per "discriminare", ma per rimettere a tema la legge naturale, un ordine naturale da preservare e promuovere.

Ma nella cosiddetta koiné laica c'è un generale rifiuto della nozione di legge morale naturale: "Rifiutando l'idea di una fonte esterna dei valori, i laici ritengono che la morale sia una costruzione totalmente umana, ovvero che sia l'uomo (anziché Dio o l'ordine naturale che ne rispecchia la volontà o "legge eterna") ad essere la sorgente delle norme etiche" (p, 78). La natura non è una finalità immutabile che porta in sé l'impronta del Creatore, ma un prodotto culturale (storico, convenzionale). Senza altri riferimenti "oggettivi", il primo principio dell'agire è quello dell'autonomia, dell'autodeterminazione degli individui. La bioetica laica difende il principio della disponibilità della vita e dell'autodisponibilità dell'uomo, ovvero della facoltà di "disporre del proprio essere".

La bioetica laica risemantizza il concetto di persona in modo "funzionalistico": "Mentre il personalismo ontologico di matrice cattolica e tomista fa dipendere l'essere della persona dalla presenza, negli individui, della "natura umana" (razionale), il filone funzionalista e comportamentista di matrice laica, respingendo l'esistenza (o la conoscibilità) di un sostrato ontologico sostanziale, sostiene che l'esserci della persona – e quindi di un soggetto etico e giuridico – dipende dalla presenza di determinate caratteristiche o funzioni (coscienza, capacità di interazione con altri esseri ecc.)" (pp. 87-88).

Secondo Fornero non si può non riconoscere l'esistenza di questa dicotomia tra la bioetica della sacralità della vita e la bioetica della qualità della vita, pertanto occorre prendere atto di questi due comlpessi quadri teorici. La prospettiva della sacralità della vita insiste sulla indisponibilità e inviolabilità della vita, sulla presenza di un ordine delle cose, cioè di un progetto sull'uomo e per l'uomo e su una serie di limiti che l'uomo è tenuto a rispettare. Invece la prospettiva della qualità della vita sottolinea la disponibilità della vita, l'indipendenza e l'autonomia decisionale dell'uomo e l'assenza di divieti assoluti.

I concetti di ordine della creazione e di legge naturale rappresentano strumenti teorici per porre limiti alla libertà interpretativa della coscienza e per fondare su base ontologica le istanze e i valori dell'etica. Secondo la tradizione cattolica, l'etica si fonda sulla metafisica, così come sintetizza Sofia Vanni Rovighi: "Ogni etica è la conseguenza di una determinata concezione dell'uomo, ed ogni concezione dell'uomo è conseguenza di una determinata concezione della realtà, dell'essere e della sua totalità" (p. 197). La tradizione cattolica continua a difendere l'importanza della rilessione razionale per l'intelligenza della fede: "Il pensiero filosofico è spesso l'unico terreno d'incontro e di dialogo con chi non condivide la nostra fede" (p. 198).

È proprio con questo spirito filosofico che è possibile far dialogare le "due" – Fornero ritiene che non si possa negare questa contrapposizione – bioetiche, strutturalmente diverse e per certi aspetti "inconciliabili" (p. 203).

Il volume si chiude con il richiamo alla "necessità di una bioetica planetaria strutturata nei termini di un postmoderno laboratorio del dialogo e del pluralismo" (p. 204). Proprio in forza della matrice filosofica della bioetica, continuamente sottolineato dall'Autore, sarebbe stato opportuno un richiamo alla vocazione unica della bioetica, all'etica disposta a dialogare nella verità (e non "senza verità", come ha scritto U. Scarpelli), volta a cogliere l'humanum e perciò universale.

D'Agostino, citato da Fornero, chiaramente scrive che la pluralità delle credenze e degli atteggiamenti etici è sociologica e "non andrebbe assunta come mero dato di fatto, ma come problema" (p. 138). È un problema filosofico perché la questione dell'unità della bioetica ripropone quella più ampia dell'unità di senso.