«Studi di teologia» 18(2006)
Supplemento n. 4

Recensione a Giovanni Fornero, Bioetica cattolica e bioetica laica

di Leonardo De Chirico

Ogni persona interessata a orientarsi nel dibattito italiano sui temi della bioetica troverà questo libro particolarmente utile. Ci voleva uno storico della filosofia, un allievo di Nicola Abbagnano che si era già misurato con le sfide della bioetica all'interno di una pregevole sintesi su Le filosofie del Novecento (2002), per offrire una mappatura ragionata e critica delle tendenze principali che si confrontano. È vero che il pluralismo in bioetica sembra essere difficilmente riducibile in categorie sintetiche, ma è altrettanto vero che la realtà può essere semplificata in modo non distorsivo se le categorie impiegate ne rendono conto adeguatamente. All'osservatore risulta evidente che le posizioni in campo, per quanto sfumate, possono essere ricondotte a due insiemi di presupposti originari che vengono evocati esplicitamente o assunti implicitamente,ma che comunque sono influenti. Da un lato, la concezione della sacralità della vita ("una determinata biofilosofia", 23) che viene sostenuta con grande determinazione dal magistero cattolico e, in modi più articolati, dalla Cultura cattolica. Dall'altro, la concezione della qualità della vita a cui si rifà la cultura laica di matrice liberale e utilitarista. Questi due paradigmi sono irriducibili l'uno all'altro in quanto sono legati a degli assoluti che si escludono reciprocamente. Uno assolutizza il dato biologico della vita teorizzandone l'indisponibilità all'intervento umano alla luce di una visione ontologica della persona; l'altro eleva il criterio della qualità della vita in senso soggettivo e ne sancisce la piena disponibilità in base ad una comprensione funzionale della persona. Di qui, non solo la diversificazione, ma anche la contrapposizione tra la bioetica cattolica e la bioetica laica. Ciò non significa che non si possano trovare aree di convergenza nell'affrontare i casi specifici o nel determinare provvedimenti legislativi in ambito bioetico. Significa, invece, che i modelli teorici di partenza determinano "paradigmi antropologici ed etici diversi" che "tendono a generare bioetiche diverse" (18, corsivo nel testo). Non si può non prendere atto "di una situazione storico-contingente di manifesta diversità e di endemico contrasto" (139).

Alla luce di questa ricognizione generale, Fornero esplora entrambi i paradigmi chiarendo i concetti, puntualizzando gli aspetti e discutendone le opere rappresentative. Mentre per la bioetica cattolica il compito è facilitato da una corposa letteratura sostanzialmente omogenea sul piano ideologico (il Magistero della Chiesa di Roma e la teologia morale cattolica), per la bioetica laica, si deve fare i conti con una maggiore pluralità di declinazioni. Innanzi tutto, l'A. discute il significato di laicità applicato all'etica e scorge due sensi principali. Uno "debole" che indica un atteggiamento critico e tollerante; l'altro "forte" che ragiona indipendentemente dall'ipotesi di Dio (etsi Deus non daretur). Per Fornero i veri, laici sono quelli che lo sono in base all'accezione forte della laicità. Di questo filone, l'A. esamina il principlismo di Beauchamp e Childress, il ripensamento della vita di Peter Singer, la postmodernità bioetica di Engelhardt e la bioetica laica italiana di Uberto Scarpelli (1924-1993).

Fornero è consapevole che alcuni, soprattutto tra i cattolici, sono a disagio di fronte ad una polarizzazione tra bioetica laica e cattolica, in quanto ritengono che le posizioni cattoliche siano "razionali" secondo una metafisica naturale interpretata in senso aristotelico-tomista. Secondo lo schema cattolico tradizionale del motivo natura-grazia, infatti, la natura possiede una sua intelligibilità interna da renderla "evidente" alla ragione. Pertanto, l'argomentazione morale presume di essere oggettiva ed universale. In realtà, ogni pensiero è situato dal punto di vista dei presupposti e l'onestà intellettuale impone di riconoscerla particolarità di ogni pensiero a confronto con altri pensieri. La "ragione" in quanto istanza universale è mito illuminista da cui anche il cattolicesimo fa fatica a congedarsi. Fornero ritiene che la diversificazione tra bioetica laica e cattolica regga per motivi non banali o arbitrari. Anche la pretesa laica di ragionare priva di assoluti è illusoria. Lo stesso Fornero, che sostiene l'idea "forte" di laicità, riconosce il ruolo di una "serie di valori-guida" (97) per il laico e rifiuta l'accusa di relativismo etico (122-128). Non ci sono degli assoluti anche per il laico, per esempio l'autodisponibilità della vita da parte del soggetto o le preferenze dell'individuo? È veramente possibile ragionare moralmente come se, in linguaggio laico, gli assoluti non ci fossero? Non ammette lo stesso Fornero, sulla scia di Beauchamp, che i casi in bioetica sono sempre "imbevuti di valore' (202, corsivo nel testo)? È davvero difendibile l'idea "forte" di laicità che postula l'assenza di assoluti? Non dobbiamo invece riconoscere che la laicità è il rispetto del pluralismo e delle diverse sfere di sovranità di cui e composta la realtà sociale, ma che ogni posizione è legata ad un insieme di assoluti più o meno consapevoli?

Nell'ambito dell'universo laico, l'A. riconosce l'esistenza di bioetiche di matrice religiosa che, nelle parole di Maurizio Mori, mettono "tra parentesi l'ipotesi di Dio" e ragionano "per individuare soluzioni morali adeguate per la convenienza civile" (141-142). Tra queste, sono citate le opere di Hans Küng e del Gruppo di lavoro sui problemi etici posti dalla scienza nominato dalla Tavola valdese. Rispetto a quest'ultimo, viene registrata "la (tendenziale) convergenza fra certo cristianesimo riformato e mentalità laica" (142, corsivo nel testo). Purtroppo, non c'è nessuna interazione con l'etica evangelicale che non ragiona come se Dio non fosse, ma cercando dí rispettare le sfere di sovranità (individuo, famiglia, medici, scienziati, associazioni, chiese, imprese, stato, ecc.) all'interno di un pensiero dinamico che mette in relazione le norme morali, le situazioni contingenti e i soggetti coinvolti.

Anche sul versante della teoria della sacralità della vita, l'A. è consapevole di una certa variabilità di posizioni, soprattutto nelle opere di filosofi laici ispirati dall'etica kantiana. L'imperativo categorico della persona come fine e mai come mezzo funge da assoluto che avvicina il deontologismo di stampo kantiano all'etica della sacralità della vita. Citando Frankena (134), Fletcher (134) e Shils (153), Fornero ricorda che l'idea di sacralità della vita non è cristiana. Si tratta di una "metafisica naturale" non di matrice biblica, ma che è stata metabolizzata dal cristianesimo ellenizzato. Tutti i protestanti dovrebbero metterselo in testa e smettere di operare l'equazione tra sacralità della vita ed etica cristiana.

Che dire in conclusione? Fornero ha fatto una ricognizione puntuale e rigorosa del panorama italiano in particolare. Con una lacuna. Infatti, la polarizzazione tra bioetica laica e bioetica cattolia non esaurisce le posizioni in campo. La bioetica evangelica non si riconosce né nell'etica della sacralità della vita, né in quella della qualità della vita, e nemmeno può essere considerata un sottogruppo a margine di un orientamento o dell'altro. Essa contesta il duopolio cattolico-laico e scommette su un patrimonio culturale diverso: un ontologia trinitaria dell'uno e del molteplice, un'antropologia relazionale, una sociologia della sovranità delle sfere, una metodologia che fa interagire diverse prospettive, un'etica della finitudine e della responsabilità. Di questo orientamento etico, purtroppo, non c'è traccia nell'opera di Fornero. La responsabilità non è dell'A., ma dell'evangelismo nel suo complesso che mostra segni di pigrizia intellettuale e spirituale nel preferire le nicchie della sacralità o della qualità della vita, piuttosto che investire in una direzione culturalmente alternativa.