«Avvenire»
29 dicembre 2005

Bioetica, il dovere di dibattere

di Vittorio Possenti

Con indubbia competenza Giovanni Fornero ha scritto il volume Bioetica cattolica e bioetica laica, dove presenta le rispettive posizioni sulla bioetica, andando oltre la casistica e convocando i princìpi fondamentali di carattere ontologico, antropologico e morale delle due visioni. Un compito importante per richiamare le radici di posizioni in cui, da qualunque lato si guardi il problema, ne va dell'uomo. Nonostante il tema intricato, l'esposizione è chiara, condotta con lodevole giustizia intellettuale nel descrivere le varie posizioni in gioco e i loro presupposti filosofici. Per trasmettere le due prospettive Fornero adotta i paradigmi della sacralità e indisponibilità della vita umana da un lato, e della qualità e disponibilità della stessa dall'altro, ripercorrendoli approfonditamente nel loro snodarsi. Ne mostra anche le modulazioni e le variazioni interne, maggiori nel caso del secondo paradigma rispetto al primo, forse più compatto. L'esposizione si mantiene neutrale, secondo il metodo di Abbagnano per il quale «l'esigenza di una rigorosa precisazione dei concetti e della loro articolazione interna acquista un'importanza vitale». L'autore è riuscito nel suo intento: praticando il mestiere di "bioeticista", ritengo che le posizioni siano accuratamente descritte e riportate con abbondanza di citazioni alle posizioni ultime delle due scuole. Certo è che i paradigmi teorici, in genere lontani e difficilmente mediabili, sembrano lasciare poco spazio a incontri e mediazioni, come non di rado la pratica conferma. Ma in altri casi è possibile cercare luoghi di convergenze: forse non saranno molti, ma ci si può provare.

Fornero si presenta come "laico", eppure sembra difficile tirarlo per la giacca e ascriverlo a questo o quel campo. Egli coglie le posizioni ultime delle due bioetiche che nel caso della bioetica "cattolica" si fondano su una certa idea della libertà, della natura, della legge naturale e del progetto di Dio sul mondo, esposte con un largo ricorso a testi del Magistero e in specie alle encicliche Veritatis Splendor ed Evangelium Vitae. Particolarmente significativo è il tema della natura e del suo finalismo interno, perché nessun concetto è oggi tanto tartassato e controverso in filosofia e in bioetica come questo. Molti lo intendono esclusivamente non come natura-essenza, ma solo nel suo significato più immediato e banale di natura fisica, insieme di cose che formano il mondo. Atteggiamento in cui si configura un "nichilismo delle essenze" quale elemento eminente dell'attuale nichilismo occidentale. D'altra parte un filosofo che si dichiara postmetafisico come Habermas ha intitolato un suo libro Il futuro della natura umana, a testimonianza del fatto che di tale concetto chiaramente metafisico non possiamo fare a meno in bioetica.

La metafisica (dell'essere) e il personalismo stabiliscono in genere il quadro di riferimento di molte posizioni bioetiche "cattoliche" che evidenziano un radicamento ontologico, che altre bioetiche non possiedono o rifiutano. Semmai si può chiedere se le posizioni bioetiche sostenute da esperti cattolici possano configurare una compiuta bioetica cattolica. Ne dubiterei, ritenendo che si possa pervenire alle sue soluzioni per varie strade a patto che non escludano programmaticamente il cammino ontologico. Vi sono due sensi in base ai quali una bioetica si può chiamare "cattolica": come facente storicamente parte dell'area culturale del cattolicesimo, e come una dottrina fortemente legata e derivante dalla Rivelazione. In alcuni casi può esser vera la seconda posizione in cui la Rivelazione esprime criteri d'orientamento, ma in altri mi pare valida la prima in cui il discorso si muove su una base razionale. La questione dello statuto dell'embrione umano è esemplare: per raggiungere una sufficiente certezza che esso è persona gli argomenti non chiamano in causa posizioni di fede, ma deduzioni razionali che non sono proprietà di nessuno e che sarebbe un guaio considerare tipici solo del cattolicesimo (forse diverso è il tema del suicidio e del suicidio assistito). Ciò induce a ritenere che molte posizioni bioetiche dell'uno o dell'altro segno si concretino in rapporto ad un'ontologia di riferimento che colora di sé il rapporto tra metafisica ed etica. Questo accade anche nella bioetica laica, che forse non sempre ne è consapevole. Un'altra posizione cruciale di tale bioetica è la decisione di procedere etsi Deus non daretur, considerando fondamentali eventi della cultura, e in specie l'etica e i dieci comandamenti, come meri fatti umani passibili di evoluzione, e non come provenienti da un Legislatore morale trascendente.

Fuori dal volume rimane la questione demografica che fa parte della bioetica in senso largo. In Italia ne avvertiamo l'urgenza per il crollo verticale delle nascite, che da alcuni decenni ci ha condotto ad una paralisi demografica tale che il ripiegarsi del nostro slancio vitale può condurci al congedo. Leggendo il libro di Fornero ci si può chiedere se la bioetica imperniata sull'individuo, la sua autonomia e sul criterio della disponibilità della vita, divenuta cultura diffusa, non sia una delle cause che avviano alla sterilità e al declino demografico. I demografi ci avvertono che in Italia il numero delle donne neonate si è dimezzato in pochi lustri. Forse un esito infausto attende quei gruppi umani nei quali i diritti individuali passano sopra tutto il resto, cancellando il senso della comunità, la continuità vitale di popolo, la proiezione verso il futuro.